Possibile che in ogni sessione di calciomercato dalla notte dei tempi, i tifosi debbano individuare il “mercenario”? Per noi il calcio è un’isola spesso felice, ma per il calciatori rimane pur sempre un lavoro. Ben pagato, ai nostri occhi divertente, ma pur sempre di lavoro si tratta.

Stavolta è il turno di Felipe Anderson, bersagliato mille volte in questi anni, chiamato “fuoco di paglia”, o peggio ancora “senza palle”. La stessa sorte toccò a Biglia, a Keita…

Un calciatore come pochi ne abbiamo visti e se disgraziatamente partisse davvero, non sarebbe solo una grande perdita, ma un grandissimo rimpianto. Pipe è stato tacciato di essere “capriccioso” perché ha reclamato la titolarità e di avere  “poco carattere”,ma il carattere non lo si esprime anche col gioco? E perché allora dovrebbe averne poco uno che reclama la maglia titolare?

Lasciatemi dire che i calciatori sono persone come noi, non sono dotati di chissà quali poteri magici e come infastidirebbero noi le critiche continue, “sterili” e per nulla costruttive, influenzano anche loro, soprattutto le loro decisioni.

Prendo Felipe Anderson perché è il “mercenario” del momento per fare un discorso assai più esteso e per farlo, devo partire da una radice persa che si è trasformata in una orribile brutalizzazione e strumentalizzazione di quello che noi italiani abbiamo amato alla follia: il pallone.

Il calcio è diventato un compra e vendi, sperando sempre nella plusvalenze.

Il calcio moderno ha ucciso bandiere, maglie e colori, il calcio moderno è fatto dai procuratori ancor prima che dall’anima. “Sotto contratto” e nessuno sfugge al cavillo!

I sogni? E chi ne parla più! Forse i bambini che vediamo piangere tra gli spalti con le sciarpe al collo, gli unici che non sanno cosa siano interessi e bilanci. Bandiere? Inesistenti. Ci uniamo sotto la luce fatua del “fenomeno momentaneo”, che sia colui attaccato o no alla maglia, ci interessa la rete, il numero sul tabellino dei marcatori, forse per questo siamo un pò colpevoli anche noi. Complici di inneggiare ai numeri, di essere una fabbrica di passeggeri eroi,  di cucire addosso ai calciatori una fede e soffrire nel vedere tradito ciò che noi abbiamo creato.

Un abito disegnato da noi stessi e quando la casacca viene svestita, rimane solo il “mercenario”.

Dimentichiamo troppo spesso che sono “dipendenti” e rispondono al “padrone” della fabbrica, dei loro sogni e dei soldi. Dimentichiamo che il calcio non è più romanticismo, ma mero interesse.  E sono i calciatori a pagare, con un odio ingiustificato, i nostri voli pindarici che si infrangono con la realtà.

Le società anche spingono affinché siano proprio i tifosi  stessi a rigirarsi contro i giocatori, a “cacciarli”, perché è difficile spiegare alla propria piazza che il talento è stato venduto al miglior offerente.

Succede in tutto quel bellissimo mondo che noi chiamiamo “pallone”, non solo in casa Lazio.
E lo sapete perché? Perché non esiste più quel bellissimo mondo che chiamiamo “pallone”.

Indovina il futuro “mercenario”, così guardiamo con sospetto ogni fiamma di bel calcio che ci viene offerta, lo stesso fu per Milinkovic-Savic, o per l’esplosione di Alberto, il primo pensiero è sempre:” Tanto l’anno prossimo se ne va”.

Un’abitudine che ci è stata insegnata, una regola tacita delle società.

Tutti “mercenari”, ora tocca a  Felipe Anderson, prima di lui fu Stefan De Vrij.

Diventa facile definirlo un’erbaccia da estirpare per non rovinare gli equilibri nello spogliatoio, perché Pipe ha solamente chiesto di giocare e le ha fatte girare all’allenatore, ma se questo è il problema, di che stiamo parlando signori miei?

Se volete che Anderson se ne vada poiché non è “laziale”, beh, vi rispondo che state giustificando la cessione di un pezzo pregiato in una squadra che dovrebbe avere grandi ambizioni, ma prova a vendere i “grandi”.

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